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Trimle lug – sett 2000 n° 3 Anno II

Tempo e religione… (Marta Saralegui e Rodolfo Savini).

Evam me sutam (i discorsi del Buddha).

Quattro incontestabili verità (Massimiliano Foglini).

Il Vesak della Pagoda di Pieve a Socana (Marta Saralegui).

 

 

Tempo e Religione: una dimensione buddhista.(Rodolfo Savini e Marta Saralegui)

 

Uno degli aspetti più misteriosi e affascinanti della vita, è certamente il tempo: nel suo scorrere, nel modificarsi delle cose, nella successione degli eventi, nella personale percezione del suo passare e nella nostra differente maniera di rapportarci ad esso.Le grandi onde del tempo fatte dal susseguirsi degli anni, dei secoli, dei millenni, rifluiscono nel trascorrere delle stagioni, dei mesi, delle settimane, dei giorni. Ed è proprio in questo espandersi e condensarsi che è possibile trovare il proprio punto di riferimento con le cose, il nostro rapporto con gli altri e con noi stessi.

Nel buddhismo, il tempo è concepito come qualcosa di ciclico e non di lineare, evidenziando quell’alternanza che segna ogni istante della vita. È nella ciclicità che possiamo leggere il senso che anima ogni cosa, ogni essere vivente: il susseguirsi del giorno con la notte, il sorgere ed il dissolversi dei nostri entusiasmi, l’ascesa e la decadenza degli imperi. Se questo da una parte può sembrare un monotono ripetersi, dall’altra si ripropone con nuove ed inesplorate dimensioni, capaci di animare e suscitare inimmaginabili trasformazioni. Così, come il ritmo del nostro respiro va e viene, anche l’energia che sollecita il divenire, muove la ruota della vita.

L’esistenza non si risolve in un semplice girare in cerchio, è un continuo movimento a spirale che continuamente si apre verso aspetti che sfuggono alla nostra comprensione, e nel contempo si raccoglie nell’interiorità in cui tutta l’alternanza di nascita e morte, del sorgere e scomparire diviene evidente: dal più semplice moto del pensiero, alla vita della cellula più recondita.

La Verità che il buddhismo ci vuole indicare, è quella di imparare a riconoscere i diversi modi con cui il tempo si presenta al nostro sguardo, alla nostra coscienza, non per sceglierne uno, ma perché la soluzione del disagio, dell’insoddisfazione, del dolore, risiede nel totale superamento di ogni dimensione del tempo.

Superare il tempo vuol dire dissolvere i miraggi dello spazio, trascendere tutte le illusorie facce con cui entrambi si presentano. Solo questa esperienza ci può permettere di comprendere e sperimentare che nel mondo del divenire di cui siamo parte, vi è celata una dimensione completamente diversa, che non esclude la precedente, ma che con essa convive. Per i buddhisti, questa dimensione, è la realizzazione del Nirvana. E’ l’esperienza del divino che si trova oltre i propri limiti personali: nella gentilezza, nella compassione, nella gioia altruistica, nella serenità. La divinità, nel buddhismo, è nell’unicità, nella non separazione, in quello stato privo di tempo e di spazio, che va oltre la dicotomia spazio-temporale, di spirito e materia, bene e male, beatitudine e dolore, vita e morte, essere e non essere.

L’amore per questa dimensione, per quell’energia che appena si esprime diventa alternanza, ma che in essenza è qualcosa di inesprimibile e di incommensurabile, è la direzione verso la quale il Buddha ci indica di muovere il nostro passo. Il Nirvana, la cessazione del divenire, è l’amore per il segreto che ogni istante cela in sé. Questa intuizione, questa scoperta, non si manifesta cambiando la realtà, ma, sgorgando dal nostro cuore, cambia radicalmente il nostro modo di rapportarci ad essa.

Marta Saralegui, presidente della nostra Associazione, a riguardo della percezione del tempo scrive:

-Tante volte, parlando con gli amici della visione del tempo e di come la percepivo in relazione con la pratica di meditazione, mi mancava quella chiarezza per trasmettere in forma semplice quello che sentivo e vivevo. Pochi giorni fa, rileggendo un libro del Venerabile Dalai Lama, ho trovato scritto queste parole: “In qualità di buddhisti, come scopo non ci proponiamo solo di dare il sollievo temporaneo o benefici temporanei, ma risultati a lungo termine. Ai buddhisti non interessa solo questa vita, ma la vita dopo la vita, e così via. Noi non contiamo le settimane o i mesi, e neppure gli anni, ma le vite e gli eoni” e ancora aggiunge “Le buone qualità mentali infatti una volta sviluppate in modo adeguato, si accrescono all’infinito”.

Questo era il punto di partenza di cui avevo bisogno per poter dare una semplice spiegazione alla percezione del tempo, nella vita di una praticante che giorno dopo giorno si domanda che cosa è e come vivere questa esperienza.

Alcuni anni fa, in Patagonia, ero seduta in meditazione nel bosco intorno alla casa nella quale abitavo, e vissi la sensazione del tempo come se tutta la storia dell’uomo potesse essere contenuta in un attimo: in quell’istante c’era il passato e contemporaneamente il futuro, c’erano le stelle ancora non nate e quelle morte da tempo; lo scorrere del tempo mi avvolgeva velocemente senza che il mio essere potesse intervenire in alcuna maniera. Da allora ho sempre cercato di dare spiegazioni razionali a quell’esperienza, ma nella sua essenza è sempre rimasta inafferrabile; anche perché tante altre volte ho percepito il tempo come lento, ampio, fermo, creando uno spazio temporale unico dove l’infinito assorbiva tutto.

Quello che questa esperienza mi ha donato, è la capacità di aprirmi e di allargare i limiti della conoscenza, andando oltre i concetti, senza per questo pretendere di spiegare tutto metafisicamente.

Il tempo siamo noi, sta in noi; il mio tempo è il tempo dei cinque miliardi di abitanti del pianeta terra, dei miliardi di abitanti dell’universo, di ogni animale o pianta vivente, del continuo pulsare della nascita e morte del cosmo. Questa non è poesia, è solo riconoscere l’assoluto nel relativo, in noi stessi; è riconoscere ciò che fa scattare la molla a quel movimento di sviluppo di ogni società, di ogni individuo. E’ ciò che mantiene la nostra connessione e il nostro legame in questo tessuto universale.

Come individui, siamo la voce della totalità: ognuno di noi è legato alla storia di Roma antica, alla persecuzione degli ebrei, all’Impero Cinese, al Rinascimento, alla seconda guerra mondiale… Proprio, come ciò che ognuno di noi sta oggi vivendo, è, e sempre sarà, parte della storia futura.

Siamo parte della totalità e questo è inevitabile, siamo la fame, la povertà e la ricchezza, il ricordo e la dimenticanza, e nessuno di noi può sfuggirne. Non c’è via di scampo, i nostri cammini sono diversi, è vero, ma non c’è bisogno di conversioni.

Il tempo è una relatività assoluta, sta in ogni bocca che parla, in ogni respiro, in ogni bambino che muore di fame, è presente in ogni pratica religiosa; ciò che forse fa paura, è come viverlo, come esplicitarlo, come farlo diventare, in questo nostro tempo, un elemento cosciente, capace di darci la possibilità di aprirci a tutto, senza venire soffocati dalla paura che questo “presente-infinito” può farci. Il divino rappresenta questa infinita presenza. È nostra la possibilità di riconoscerlo, di contattare in noi questa estensione, di avere quell’umiltà di ridimensionare i nostri limiti personali vissuti quotidianamente, abbracciando la morte come continuità della vita.

Mi domando come può essere diversa la percezione del tempo tra un buddhista e un musulmano, tra un ebreo e un cristiano o tra uno sciamano e un induista, tra un fisico e un muratore, tra un bambino africano e uno europeo. Il tempo sarà limitato fin tanto che la nostra mente rimarrà chiusa e il nostro cuore sarà pieno di egoismo. La nostra percezione muterà invece, nel momento che il nostro cuore e la nostra mente si apriranno alla totale accettazione degli altri, e della diversità; ciò ci permetterà di percepire il senso del tempo, semplicemente come una parte della nostra esistenza.-

C’è una semplice frase che racchiude in sé tutta l’essenza della pratica buddhista e con la quale possiamo concludere questo articolo: “Domandarono al Buddha perché i suoi discepoli sembrassero sempre così allegri; la risposta fu: “Non rimpiangono il passato né si preoccupano del futuro; vivono nel presente, ecco perché sono gioiosi”.”

 

  

Samyutta Nikaya – Discorsi collegati XLVII

A quel tempo il Beato viveva nella terra dei Sumbha nei pressi di una città del popolo Sumbha chiamata Sedaka. Là si rivolse in questo modo ai monaci:

“In passato vi era un acrobata che lavorava con un’asta di bambù. Tenendo in piedi l’asta di bambù disse alla sua ragazza apprendista Medakathalikà: ‘Vieni, mia cara, sali sull’asta e mettiti in piedi sulle mie spalle’. ‘Si maestro’, disse lei, e fece così. E l’acrobata disse: ‘Adesso, mia cara, stai bene attenta a quello che faccio e io starò attento a quello che fai tu. Così, proteggendoci a vicenda, mostreremo la nostra abilità, ci guadagneremo da vivere e scenderemo al sicuro dall’asta di bambù’.

Ma l’apprendista Medakathalikà disse: ‘Non così, maestro! Voi dovete stare attento a voi stesso, ed io a me stessa. In questo modo, protetti da noi stessi, mostreremo la nostra abilità, ci guadagneremo da vivere e scenderemo al sicuro dall’asta di bambù’.

“Questa è la giusta maniera”, disse il Beato, e disse ancora:

“Proprio come dice l’apprendista: ‘Io starò attenta a me stessa’, in questo modo vanno praticati i fondamenti della presenza mentale. ‘Io starò attento agli altri’, anche in questo modo vanno praticati. Proteggendo se stessi si proteggono gli altri; proteggendo gli altri si protegge se stessi”.

“E in che modo proteggendo se stessi si proteggono gli altri? Attraverso la pazienza e l’indulgenza. Attraverso una vita non violenta e che non procura danni, e attraverso l’amore-benevolenza e la compassione”.

” ‘Io proteggerò me stesso’, in questo modo vanno praticati i fondamenti della presenza mentale. ‘Io proteggerò gli altri’, anche in questo modo vanno praticati. Proteggendo se stessi si proteggono gli altri; proteggendo gli altri si protegge se stessi”.

Quattro incontestabili affermazioni. 

(Massimiliano Foglini)

 

  Il Buddha per esprimere la comprensione della Verità a cui era giunto dopo il suo risveglio fece quattro dichiarazioni: “Nella vita c’è sofferenza”; “la sofferenza ha una origine”; “è possibile metter fine alla sofferenza”; “c’è un sentiero che conduce fuori dalla sofferenza”.A volte queste affermazioni vengono paragonate alla diagnosi di un medico, e cioè l’identificazione della malattia (la sofferenza o il conflitto), la sua causa (la brama del desiderio), la possibilità di guarire dalla malattia e la guarigione. La prescrizione della cura è il nobile ottuplice sentiero: Retta Comprensione, Retta Aspirazione, Retta Parola, Retta Azione, Retti Mezzi di Sostentamento, Retto Sforzo, Retta Consapevolezza, Retta Concentrazione. Che si possono più semplicemente raggruppare in tre sezioni: Saggezza (comprensione e aspirazione), Moralità (parola, azione, sostentamento), Raccoglimento (sforzo, consapevolezza, concentrazione). Come per tutte le medicine, anche per l’insegnamento buddhista, non è sufficente leggere le istruzioni e le modalità d’uso, e nemmeno studiare gli effetti che potrà darci; l’unica maniera per vedere se funziona, se è in grado di guarirci è prenderla!“C’è sofferenza”. Comprendere questa prima Verità è estremamente importante perché ci ricorda che nella vita la condizione della sofferenza è condivisa da tutti gli esseri: soffriamo tutti. Il primo passo da compiere nel nostro cammino spirituale è quindi quello di riconoscere la sofferenza e non di trovare un sistema per evitarla. L’accettazione dei conflitti che sperimentiamo sono l’inizio del sentiero; la sofferenza non è qualcosa da combattere ma la preziosa porta che ci introduce nella Via. Continuando a negare la realtà del nostro dolore interiore creeremo ulteriore conflitto e sofferenza a noi stessi e a tutti gli altri.

“C’è una causa”. Qual’è la causa di tutti i conflitti? E’ possibile vederla solamente smettendo di scappare via e indagando, investigando la sofferenza. E cosa possiamo scoprire? Ad esempio che la contrazione che abbiamo di fronte alle condizioni spiacevoli dipende solamente da una nostra abitudine e che quindi è possibile eliminarla; questo non modificherà certamente le cause esterne ma cambierà radicalmente la nostra maniera di rapportarci ad esse. Buddha disse che la causa della sofferenza è il desiderio, ma come fare a non soccombere alla forza della brama? Semplicemente comprendendolo, vedendo chiaramente che cos’è e come funziona. Ajahn Munindo lo paragona alle api: “Quando capiamo il modo di essere delle api, non ci avviciniamo troppo, ma nemmeno abbiamo bisogno di liberarcene. E così col desiderio, quando i nostri cuori sono ben informati, impariamo come vivere col desiderio, senza esserne punti”.

“C’è una fine”. E’ questa un’affermazione che ci aiuta a vedere oltre, un’indicazione che favorisce l’individuazione della strada da seguire, per un buddhista è la meta da realizzare: l’illuminazione. E’ il dissolversi dell’impulso che ci porta ad identificarci con una qualche condizione: l’incondizionato. Tutto l’insegnamento del Buddha mira alla liberazione di tutti gli esseri e ci invita ad aprirci al mistero del “Risveglio”.

“C’è un sentiero che conduce fuori dalla sofferenza”. Intraprendere il Nobile Ottuplice Sentiero è abbandonare ciò che crediamo di essere per diventare il Sentiero stesso. A guidarci lungo questa strada sarà l’impulso per la Libertà Incondizionata, e anche se probabilmente fuorvieremo e ci allontaneremo, questo stesso impulso ci ricondurrà sempre verso la giusta direzione. Per trovare il Retto Sentiero non dobbiamo far altro che guardare sotto i nostri piedi, perché la strada che il Buddha ci ha indicato è proprio quella che abbiamo davanti; a noi il compito di percorrerla e di accorgersi lungo il cammino che in realtà non c’è nessuno che sta viaggiando, solo luce nella luce, spazio dentro a spazio.

 

 

Il Vesak della Pagoda di Pieve a Socana. 

 

(Marta Saralegui)

   Oggi è il giorno del Vesak; oltre al ricordo dell’illuminazione, è per me condividere una festività immersa nella tradizione di tanti amici dello Sri Lanka.

 Ricordo che la prima volta, nel 1987, ero seduta da sola, con la luna piena e il freddo; un mantello nero con milioni di stelle e il mantra del silenzioso Sakyamuni:

“OM MUNI MUNI MAHA MUNI SOWA”.

L’aspirazione di allora era “l’illuminazione di tutti gli esseri senzienti”.

La vita adesso mi ha regalato questa nuova maniera di festeggiare il Vesak: tante tradizioni che si aprono alla gioia nella stessa giornata, in questa nostra piccola Pagoda, che è per me come una ‘ciotola’ che alimenta le nostre pratiche.

Domenica 28 maggio ore 11,40: mi incammino sulla piccola stradina in salita che porta alla Pagoda e incontro Rodolfo che sta attaccando delle bandierine colorate, mi unisco a lui. Più tardi arriva Mahendra con altri amici dello Sri Lanka, sempre sorridenti; stanno portando il pranzo per i monaci che risiedono a Firenze e che sono venuti per l’occasione a celebrare questa festività a Pieve a Socana. Tutto è calmo. Ci sono fiori, incenso, cibo tradizionale dello Sri Lanka; e poi ci sono gli amici di Arezzo, del Casentino, i bambini e i giovani che preparano altre bandiere per abbellire la stradina; ogni anno si aggiungono più colori e la strada ne è quasi ricoperta. Ognuno contribuisce a questa festa a suo modo.

C’è l’offerta del pranzo ai monaci, dopo, il rituale in Pali; tutti ascoltano e rispondono al rifugio dei tre gioielli.

Il nostro piccolo giardino unisce tante parole, tanti discorsi, e tanta Conoscenza. Dopo l’insegnamento del pomeriggio c’è spazio per le domande alle quali il Venerabile Wansananda risponde cortesemente. Che cos’è il Vesak? Che cos’è questo evento che dopo 2500 anni, trascendendo il tempo, è arrivato in Casentino per condividere con una cultura così diversa l’illuminazione del Buddha?

Nel tardo pomeriggio vengono messi all’asta alcuni doni. Ci sono i bei quadri di Roberta, i fiori, ma sopra tutto risplendono i sorrisi disegnati sul viso di tutti, che trasformano l’aiuto economico per la Pagoda in un delizioso gioco.

Quando sono andata via la giornata non era ancora finita, mancava ancora l’accensione delle lanterne; dietro di me c’erano tanti colori, ho sentito le voci perdersi, mentre la luce del giorno iniziava a calare. -Vesak del 2000- Aspiro all’illuminazione di tutti gli esseri senzienti, fino all’ultimo filo d’erba.

 

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