Trimle lug – dic 2009 n° 3-4 Anno XI
Trimestrale n° 3-4 Anno XI ott-dic 2009
In questo Trimestrale:
Lavori in corso – Un nuova avventura di Rodolfo Savini - La concordia dal Canone buddhista
Il Sangha della Pagoda di Massimiliano Foglini - Condizionato e incondizionato dal Canone buddhista
Lavori in corso
Nel Buddhismo, come in gran parte della cultura orientale, vi è una parola: karma. Questa parola indica che le nostre azioni hanno un effetto. Le azione compiute altruisticamente concorrono ad consolidare un nucleo intimo di positività e così avviene per il contrario.
Può essere questa una ragione per mettersi al lavoro, ma questo impegno a ristrutturare il Tempio potrebbe esprimere un intento più semplice. Creare uno spazio in cui condividere al meglio la pratica buddhista. Con queste righe vi informiamo su ciò che accade, ma al contempo segnaliamo l’esigenza di un aiuto.
Vediamo intorno a noi quante situazioni, realtà, eventi avrebbero bisogno di un nostro aiuto, aggiungerne un altro può sembrare fuori luogo. Non vogliamo aggiungere richieste a richieste, vogliamo presentare un dato di fatto e un intendimento..
Il Tempio buddhista de La Pagoda ha bisogno di un ulteriore aiuto economico di almeno 5.000 euro per portare a termine una prima fase dei lavori di ristrutturazione che in totale ammontano a 32.000 euro.
L’intendimento è di farne un luogo rivolto a individuare e consolidare l’impegno verso noi stessi e gli altri ‘senza limitazioni’, come si legge nel Suttanipata,
E la pratica meditativa?
L’interno del Tempio è quindi inagibile almeno fino a dicembre. Dal mese successivo già potrebbero cominciare gli incontri domenicali all’interno del Tempio. Nel frattempo ci troviamo ugualmente la domenica pomeriggio e cerchiamo di dedicare un’ora alla meditazione tra le 16.30 e le 17.30. Con l’abbassarsi della temperatura e quindi con l’impossibilità di meditare all’aperto stiamo dandoci da fare per trovare una soluzione con un gazebo riscaldato o … con un fuoco all’aperto! (La legna non manca…)
Possiamo aiutare l’Associazione in due modi.
1) con un’offerta per la ristrutturazione del Tempio
2) con l’iscrizione all’Associazione per l’anno 2010 in qualità di:
SOCIO sostenitore 120 euro
SOCIO 60 euro
AMICO della Pagoda 10 euro
Una nuova avventura di Rodolfo Savini
E’ sempre lui, il tempo, che ci manca, che ci rincorre, che si allontana, che incombe, che arriva. Ed ora il tempo è arrivato. Ci sono voluti più di dieci anni per raccogliere la documentazione necessaria per “riconoscere” la presenza a Pieve a Socana di una Pagoda: La Pagoda.
Fino a qualche mese fa era un abusivo “capannone” minacciato di soccombere ad una ruspa. Ora invece, scivolando tra le difficoltà di antiche e nuove ricerche, il tempo è arrivato.
L’edifico è ora sede ufficiale dell’Associazione socio-culturale La Pagoda – Onlus, ed è regolarmente accatastato su un terreno di interesse religioso e culturale. Abbiamo ricevuto da poco i documenti necessari alla manutenzione straordinaria e a metà settembre sono iniziate le opere di ristrutturazione.
La Signora Bianca Biozzi, la moglie dell’ideatore e costruttore del Tempio, ha compiuto, seguendo la volontà del marito, il Grande Passo della donazione. Con lei ci siamo trovati il 5 marzo di quest’anno dal notaio Pane, a Poppi, e lì, con una firma, è avvenuta la nascita di una nuova realtà. E’ ‘rinata’ La Pagoda, l’Associazione de La Pagoda.
All’Ing. Luigi Martinelli si deve la nostra riconoscenza per aver compiuto quest’opera. Lui stesso è stato uno dei primi studiosi del Buddhismo e della sua antica lingua, il pali. Ha tradotto e diffuso in Italia e in Europa la ricchezza umana e spirituale del Buddhismo. Nonostante la sua scomparsa, è riuscito a trasmettere questo sostegno vitale a chi percorre questo sentiero. Molti laici e monaci hanno soggiornato nel Tempio ed ora spetta a noi portare avanti il messaggio che questo luogo aiuta a trasmettere.
Ci attende una prima responsabilità. Il messaggio che l’ing. Martinelli ha materializzato in questo edificio, richiede una radicale opera di manutenzione e di rifacimento.
Da quando Il Tempio ha conservato l’aspetto attuale, cioè dagli anni Sessanta e anche prima, non ha avuto interventi di manutenzione significativi.
Tale intervento è oggi improrogabile.
La cupola, pur verniciata e riverniciata, lascia passare l’acqua piovana, i mosaici interni perdono le loro tessere. L’umidità ha ragione dei pavimenti e fa rigonfiare i muri.
La prima responsabilità è proprio questa. Mettere mano all’edificio così che possa ritrovare solidità e fascino.
Sì anche il fascino è importante, ha qualcosa di attraente e misterioso, di allusivo e inespresso. Proprio da qui emerge la seconda grande responsabilità.
Ridare a La Pagoda il ruolo per cui è stata realizzata dall’Ing. Martinelli e qualcosa in più: un luogo per vivere con intensità l’insegnamento del Buddha. Se si leggono i nostri intendimenti, riportati più avanti, si comprende che cosa ci stia a cuore e quale sarà il nostro rinnovato impegno.
Lo spazio del Tempio sarà il luogo in cui far risuonare la pratica del raccoglimento, l’impulso alla comprensione di ciò che accade, l’accoglienza e il progetto.
Questo accade spontaneamente già solo con l’intensità della nostra presenza. L’abilità di cui parla il Buddha è proprio quella di apprendere a costruire la “barca” e a saperla timonare fino a giungere sull’altra riva. Lui stesso con la sua esperienza, il suo insegnamento e la comunità di praticanti ci ha fornito i legni, gli scalmi e i remi per intraprendere questa avventura.
Abbiamo atteso più di dieci anni affinché accadesse ciò che ora stiamo vivendo. La Pagoda ha trovato la propria fisionomia giuridica, il suo assetto strutturale, ed eccola protesa a far emergere i presupposti insiti nella sua stessa presenza. Un Tempio buddhista merita questo nome se fa eco all’insegnamento del Buddha, e a sua volta ne amplifichi il messaggio di pace, compassione e benevolenza.
Il dono de La Pagoda, la ristrutturazione del Tempio e la vitalità del Buddha, del Dharma e del Sangha sono lo specchio in cui riconoscere i nostri stati d’animo e quelli più ampi del mondo che circonda.
Servono strumenti contingenti, come l’abilità del muratore, il materiale e le colle idonee, l’escavatore insieme ad un finanziamento in parte mancante (occorre aggiungere minimo altri cinquemila euro per realizzare la prima parte di lavori). Serve la riscoperta di quell’entusiasmo che nascondiamo dentro di noi.
La Pagoda vuol essere proprio questo. Il Tempio è una presenza che divenire cassa di risonanza gioiosa e pacata di ciò che siamo; comunità da cui ripartire quando sembra che la vita ci fermi.
Così si potrà intraprendere, con la forza della più semplice ed essenziale aspirazione, la scoperta di ciò che soffoca la libertà e l’amore.
Il tempo ci induce a fare, l’interiorità ci induce a fare bene.
La concordia (“Così è stato detto” – Itivuttaka – II,9)
Questo è stato detto dal Beato, è stato detto dall’Arahant, e così io ho udito: “C’è un evento, o monaci, che si verifica nel mondo, e che, quando si verifica, produce benefici, felicità e guadagni per molti uomini, è beneficio e dà felicità ai deva e agli umani. E qual è questo singolo evento? E’ la concordia all’interno della comunità. Infatti, o monaci, quando la comunità è in concordia non si verificano mutue discussioni, offese, litigi ed espulsioni. In questa situazione coloro che non sono in armonia si rasserenano e quelli che sono in armonia accrescono la loro pace”. Questo è il significato di ciò che il Beato ha proferito e, a tal riguardo, si dice:
La felicità consiste nella concordia della comunità. Colui che sostiene la concordia, che in essa è felice e si basa sul Dhamma, costui non perde la possibilità di affrancamento dai legami. Creando una comunità compatta, egli gioisce del cielo per un evo intero.
Anche questo è il significato di ciò che il Beato ha proferito. Così io ho udito.
Il Sangha della Pagoda di Massimiiano Foglini
Nella pratica buddhista, tradizionalmente, si prende rifugio nei Tre gioielli. Ogni mattina, all’alba, monaci di ogni tradizione rendono omaggio al Buddha, al Dharma e al Sangha con un triplice inchino.
Prendere rifugio… chi non ha bisogno di un rifugio? Quante volte in un giorno cerchiamo rifugio? Dalla rabbia, dalla paura, dalla noia, dalla solitudine. E dove cerchiamo questo rifugio? Nel cibo? Nel sonno? Oppure in qualche cosa, situazione, persona, stato mentale, fantasia… Possiamo cercare di trovare rifugio nel divertimento, nei ricordi, nel futuro, progettando qualcosa. Possiamo cercare rifugio nell’alcool, nelle droghe, ma senza consapevolezza ogni nostro tentativo si rivelerà deludente. Il problema è che i nostri soliti modi di cercare rifugio non durano, sembrano durare, ma poi… e dal momento che non conosciamo altre maniere, continuiamo a cercare nelle solite cose rimanendone delusi.
La maturità spirituale si rivela nel riconoscimento che i rifugi che abbiamo finora provato non funzionano, sono inattendibili. Ecco che allora, il rifugiarsi nella pratica diviene migliore del rifugiarsi nelle abitudini: iniziamo a sentire l’importanza del ‘prendere rifugio’. Comprendiamo che non è un’insignificante formula da recitare, ma un sostegno, una pratica, un’aspirazione. Prendiamo rifugio in quel cambio di prospettiva che va oltre noi stessi, oltre la nostra storia personale, oltre il dare per scontato che ci siano solo queste cose. All’inizio può essere necessario un salto di fede, ma continuando a praticare, il sentiero si fa sempre più visibile, più tangibile, diventando un rifugio interiore in cui riposare. Prendere rifugio nel Buddha, nel Dharma e nel Sangha si riferisce ad una dimensione interiore che va oltre ogni religione.
Il rifugio nel Buddha rappresenta la nostra potenzialità di liberazione, di salvezza, che non è un’esclusiva del buddhismo (nel cristianesimo ad esempio: “Il Signore è il mio rifugio”). Rifugiarsi nel Buddha è rifugiarsi nella pace, nella serenità, nella gioia profonda, in quella parte di noi che è già risvegliata, che è pura osservazione, contemplazione; è lo smettere di credere alla paura, alla confusione, alla reattività.
ll rifugio nel Dharma è il rifugio in quell’insegnamento che conduce alla liberazione, è rifugio nella liberazione stessa. Rifugiarsi nel Dharma è rifugiarsi nella verità, è aprirsi verso la totalità della vita, è scegliere l’apertura anzichè la chiusura, il conflitto.
Il rifugio nel Sangha è il rifugio nella comunità dei praticanti. Rifugiarsi nel Sangha è capire che possiamo sostenerci l’un l’altro, è sentire di essere interconnessi con tutti gli esseri; è la comprensione che la crescita interiore non è un cammino individuale, ma un processo che si svolge in una connessione universale.
Il Sangha della Pagoda è fatto da tutte quelle persone che cercano di risvegliarsi, qualunque sia il loro sentiero. Il Sangha della Pagoda è interconnessione con tutti gli esseri: ogni pratica che facciamo per noi stessi la facciamo per il beneficio di tutti gli esseri.
La Pratica della Pagoda è essenzialmente l’apertura del cuore. Non è tanto importante la tecnica, la meditazione, la preghiera che usiamo: ognuno è giusto che segua la propria tradizione, i propri insegnanti, maestri. Alla Pagoda non facciamo strani sincretismi ma riconosciamo l’importanza della diversità, ne facciamo un valore. Come tante tessere di un unico mosaico, tutte le diversità si incastonano tra loro per formare un più ampio disegno di vita. Quando un buddhista viene alla Pagoda deve sentirsi a casa sua, ma anche quando viene un cristiano, un musulmano, un sikh, un credente o un non credente… La Pagoda vuol essere la casa di tutti gli esseri.
Il Sangha della Pagoda non è un ordine religioso ma un ordine spirituale. Il Sangha della Pagoda non risiede solo alla Pagoda ma in tutto l’universo. Il Sangha della Pagoda è il nostro cuore che si scioglie nel cuore dell’infinito. Il Sangha della Pagoda sei anche tu, con il tuo cuore.
Il condizionato e l’incondizionato
(“Così è stato detto” - Itivuttaka – II,6)
Questo è stato detto dal Beato, è stato detto dall’Arahant, e così io ho udito: “Vi è, o monaci, un non-nato, un non-divenuto, un non-creato, un non-formato. Se, o monaci, non esistesse questo non-nato, non-divenuto, non-creato, non-formato, non si potrebbe scorgere alcuna via di salvezza da ciò che è nato, divenuto, creato, formato. Ma, o monaci, poichè esiste un non-nato, un non-divenuto, un non-creato, un non-formato si può individuare una via di salvezza da ciò che è nato, divenuto, creato, formato”. Questo è il significato di ciò che il Beato ha proferito e, a tal riguardo, si dice:
Ciò che è nato, divenuto, creato, formato e, per questo, instabile, congiunto con vecchiezza e morte, nido di malattie, destinato a scomporsi, che trova origine dal nutrimento e dal laccio dell’esistenza, non può di certo portare letizia. La serena via di salvezza da tutto ciò è al di là del ragionamento, è stabile, non-nata, non-prodotta, è una condizione priva di afflizioni, limpida, è la cessazione di ogni sofferenza, la beatitudine che pacifica il condizionato.