Umiliazione e umiltà di Corrado Pensa
Umiliazione e umiltà
da Corrado PENSA, La tranquilla passione, Ubaldini, 1994, pp. 166-167
Dunque se da una parte la vita è acquisire e compiere, dall’altra è perdita e sottrazione continua e inevitabile. E tutti gli stati mentali negativi hanno in qualche modo a che fare con la perdita o con la paura della perdita della pace, di cose, stima, affetto, salute, persone.
Ora, che cosa ci offre la pratica interiore o di svuotamento davanti all’assedio della perdita? In uno dei suoi lavori sullo Zen, H. Benoit fa osservazioni molto puntuali in proposito (Benoit 1951, pp. 238-241). La principale e più importante mi sembra questa: qualsiasi dispiacere, piccolo o grande, fisico o mentale, qualsiasi negatività, qualsiasi sottrazione è una umiliazione, anche se può piacerci chiamarla diversamente.
Ora, per conquistare l’umiltà (o coronamento dello svuotamento positivo, potremmo dire noi) occorre, dice Benoit, ‘usare’ l’umiliazione (o svuotamento negativo). In che modo? Restando immobili nell’umiliazione, ossia praticando la consapevolezza non giudicante.
Perciò restare immobili equivale a dire mente vigile e osservante; e questo è il contrario di mente reattiva, mente che si identifica con pensieri e fantasie di depressione, di risentimento, di confusione, oppure mentre che fugge nel pensare ad altro o nel negare l’umiliazione. “Ogni sofferenza umiliandoci ci modifica – scrive Benoit – ma questa modifica può essere di due tipi che sono radicalmente in contrasto.
Se io lotto contro l’umiliazione essa mi distrugge e accresce la mia disarmonia interna, mentre se io la lascio stare senza oppormi, essa costruisce la mia armonia interna. Dal momento in cui riesco a restare immobile nel mio stato umiliato io scopro con sorpresa di aver trovato ‘l’asilo di pace’, il porto unico di sicurezza, l’unico luogo al mondo nel quale possa trovare perfetta sicurezza” (ivi, pp. 240-41).
Dunque la pratica meditativa, cioè il restare immobili mentalmente, invece che reattivi, ci permette di svuotarci progressivamente dall’angoscia della perdita.
Il permanere attenti e immobili ci permette di lasciare affiorare l’egoità, cioè l’attaccamento, l’avversione e la confusione suscitati dall’umiliazione; ci permette di vedere e capire come, in realtà, l’umiliazione o sofferenza sia causata, retta e costituita dall’egoità e ci consente, infine, avendo compreso questo, di cominciare a deporre l’egoità, transitando in tal modo dal disagio dell’umiliazione alla solida libertà dell’umiltà.