Mudita – spunti tratti da Charlotte Bell
Mudita la gioia condivisa
Riflessioni a margine dell’articolo di Chalotte Bell - Catalyst Magazine in 2002
a cura di Rodolfo Savini
Guardare chi ci è vicino è un impulso naturale, ma in questo sguardo può accadere, e di fatto accade assai di frequente, che io ne esca sbilanciato in un senso o nell’altro. Sento che in me c’è qualcosa di più, oppure che c’è qualcosa di meno rispetto all’altro. Queste due scivoloni ci allontanano da una chiara visione della realtà e ce la presentano come usualmente siamo portati a considerarla: un campo di battaglia in cui il mio io si presenta come vincitore o perdente o, ancor peggio, come una figura ipocrita disposta, per compiacere il vincitore, a dimenticare ogni più piccolo senso di responsabilità o come rassegnata ponendo se stessa nelle mani del più forte. Lasciamo da parte queste ultime due figure che richiedono una ulteriore riflessione e soffermiamoci sulle prime.
Anche i ritiri di meditazione ripropongono questo terreno accidentato, ma in tal caso tutto questo avvicendamento emotivo viene contenuto in un’unica esperienza: quella dell’osservazione. Per esempio, se chi mi è vicino sta seduto eretto nell’immobilità, mi sento inadatto alla meditazione perché mi sento curvo o perché sono costretto ad aggiustare continuamente il corpo.
Spesso ritengo che la gioia abbia un volume definito e che la gioia altrui possa sottrarre qualcosa alla mia. L’invidia e la gelosia sono lì pronte a valutare il peso di questo “furto” e, arroganti come sono, si sentono ancor più defraudate di un bene ingiustamente acquisito dall’altro. Accade lo stesso anche al contrario, allorchè il disagio che l’altro sperimenta innesca in me un sottile compiacimento come se l’altro, assumendo su di sé il peso del fallimento, possa incrementare la gioia perversa nel compiacimento: “per fortuna è capitato a lui!”
Questi meccanismi sono all’opera in ogni relazione, nella famiglia, nella scuola, nella società, con noi stessi. Sembra un fatto propulsivo della società stessa che soppesa il confronto con l’altro attravverso il bilancino dell’invidia, della gelosia, del compiacimento egoico. Chissà se è davvero questa l’energia che fa crescere una società, o la fa crescere solo per innescare queste potenzialità distruttive e conflittuali a livelli sempre più drammatici o se invece davanti a queste pulsioni si possono scegliere altre strade. Queste possono proporre valori opposti con il rischio di innescare un altro conflitto tra bene e male oppure possono coesistere con le prime come un sapiente diserbante che la coscienza semina, senza rendersene conto, alle radici di ogni comportamento, di ogni azione, di ogni relazione.
In un suo passo il Buddha dice: “In una battaglia, i vincitori e gli sconfitti sono entrambi sconfitti”. Perché la loro violenza crea uno squilibrio che non fa altro che alimentare la ruota del divenire, con la perenne alternanza di vincitori e vinti.
Mudita, tradotta con gioia compartecipe, è la terza delle quattro virtù, le Dimore Divine, benevolenza la prima, compassione la seconda, equanimità la quarta. Già vediamo la difficoltà nel tradurre questo termine: ci servono due parole tanto è priva la nostra cultura di questa qualità. Buddha stesso la definisce come una “qualità rara e meravigliosa”. E’ la miglior risposta al successo altrui, permette di sradicare sul nascere i dolorosi frutti dell’invidia. E’ la miglior risposta ai fallimenti altrui, permette di incoraggiare, con il proprio sorriso, la gioia di quella piccola scintilla vitale che portiamo in noi.
Mudita è difficile da coltivare proprio per questo, perché nel voler sradicare comparazioni, giudizi, invidia, avarizia, ecc, apre ad una prospettiva inaspettata. Può divenire, se coltivata, motore propulsivo per una convivenza in cui il fattore di crescita è nel rispetto, nello sviluppo dei propri e altri talenti, nella gioia di condividere la gioia. Può darsi che tutto abbia il colore dell’utopia eppure è proprio questa concezione che ci permette di vedere l’altro, non come un nemico con cui contendere, ma come parte di noi, in cui la gioia dell’altro è anche la nostra gioia e il disagio dell’altro è occasione per riaccendere la fiammella di una gioia dimenticata. Un mondo in cui ci si possa affacciare alla comprensione della stretta connessione che ci lega l’un l’altro.
Un ritiro di meditazione può essere proprio quella pietra focaia capace di innescare la chiara luce della consapevolezza che brucia l’utopia e la trasforma nella gioia del proprio essere qui nella relazione profonda con l’altro, nell’esperienza di mudita.