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Vedere attraverso i giudizi, note a margine Camaldoli 3giu17

L’incontro sul tema “Silenzio e ascolto”, promosso dalla Comunità di Camaldoli,    ha visto la presenza di due Relatori, il monaco buddhista  Ven. Osvaldo Thupten Tharpa e Padre Guidalberto Bormolini. Le parole sono stimoli su cui poggiano le nostre domande e i nostri passi. Ora, nel testo sotto riportato, ho fatto tesoro delle parole di Ven. Osvaldo Thupten Tharpa per sviluppare una rielaborazione personale di questi spunti. Spero davvero che da più lati possa vibrare, attraverso l’ascolto, la ricchezza che le parole ci donano. Rodolfo Savini

Lasciar decantare l’acqua imputridita per ritrovarla pura. Un terreno fertile è una mente capace di agire libera dagli inquinanti. Il silenzio non è stare zitti e ritornare alla propria natura, è vedere attraverso i giudizi, attraverso i concetti. L’amore è una mente aperta e vulnerabile.

Secondo il Buddha l’ascesi è una sponda della via di mezzo. Qui prevale uno sforzo ascetico, libero dalla pigrizia. Là la benevolenza e la compassione, la leggerezza dell’altruismo. Ognuno di noi è potenzialmente un santo, ma nel suo intimo questa condizione va risvegliata. Attraverso il silenzio possiamo giungere alla natura di Buddha, alla natura primordiale; le macchie della nostra mente sono avventizie, non ne costituiscono la natura propria. Non occorre opporsi ad esse, si sciolgono in virtù della nostra pratica. Occorre coglierle, accettare gli stati d’animo negativi, come p.es. la rabbia; non vanno nascosti ma occorre sentirli e sentire il peso delle emozioni sul cuore. Accogliere la nostra natura divina in virtù della pazienza, della compassione e del silenzio è una via aperta a tutti E la percorriamo in virtù della nostra esperienza, della nostra pratica. L’illuminazione c’è già dentro di noi ma va dissepolta.
Il Bodhisattva della compassione Avalokiteshvara si propone di liberare tutti gli esseri senzienti dalla sofferenza. Nel parlarci del silenzio ci parla di cinque suoni.

Il primo è il “suono splendido”. È quello che sentiamo attraverso la natura, è la voce degli animali, i brontolio delle onde, il frusciare dei rami. È privo di giudizio, è puro suono. Il silenzio che in esso risuona è sia quello della felicità sia quello dei dolore. Il Dalai Lama dice che è già difficile aprirsi all’ascolto di poche persone. Aprirsi alla felicità e al dolore altrui è una lunga pratica di attenzione e di consapevolezza.

Il secondo suono è quello di colui che osserva il mondo attraverso una attenzione compassionevole e amorevole.

Il terzo suono è il suono “om”, il suono del brahman. È il suono originario che protegge la mente, il corpo e la parola, protegge dai quattro veleni, dai quattro aspetti di Mara.

Il quarto è il suono della marea che sale, è l’insegnamento del Buddha che prende dimora nell’intimo del praticante, è il suono di un ogni cosa che ci circonda, è il suono dell’universo attorno a noi. Il silenzio è pace e ascolto, non è un tacere.

Il quinto è il suono che trascende ogni altro tra suono, è il suono dell’impermanenza. Occorre allenare la mente a non avere aspettative, a non pretendere di esprimere e condensare in una parola la propria ricerca interiore.

Il Buddha ci parla di due realtà, una realtà convenzionale e una realtà ultima. Sono reciprocamente necessarie anche se la seconda ha una maggior consistenza, è il varco verso la liberazione, l’esperienza della realtà ultima. Ogni cosa esiste per un istante e ancora per un istante più breve e per uno ancora più piccolo e ancora più piccolo. È un suono trascendente e non vi è nulla cui attaccarsi.

Il natura del Buddha è un passaggio da un corpo maculato ad uno immacolato e così via via sempre di più puro via via che vengono a smorzarsi le maculazioni. Siamo noi stessi a crearci il dolore tramite i nostri concetti, tramite il nostro rancore, l’astio e così via. La vita è bella in tutti suoi aspetti. Occorre guardare oltre l’aggressività e la possessività, ecc. si tratta di “vedere attraverso”.

Shamata è educare la mente ad essere più calma, non serve criticarla o bloccata nei suoi giudizi. Occorre pazienza e gentilezza con sé e con gli altri affinchè Shamata possa fiorire.

La meditazione è silenzio ma la meditazione è anche fare: è fonte di benevolenza e compassione.

I Bodhisattva sono uomini particolarmente ardenti ed evoluti che si propongono il fine di aiutare tutti gli esseri a liberarsi dalla sofferenza, ma i modi sono diversi. Buddha parlava di 84.000 ”Dharma” , modi diversi seconda natura dei propri discepoli. Tali esseri non operano con un fine specifico, è la loro stessa natura che fa ciò che va fatto in ogni circostanza. La loro mente è infinitamente aperta e di aiuto altruistico. L’egoismo è pertinente ad una mente che soffre. Il pensiero si diffonde, si propaga, anche i pensieri che abbiamo oggi si propagano, ma anche il pensiero di amore si propaga, questa è l’importanza dell’agire umano, la centralità della nostra mente silenziosa e vuota.

L’intuizione, la saggezza della verità ultima, consiste nel vedere le cose così come realmente sono in una stretta interconnessione, interdipendenza, in ogni aspetto vi è il riflesso del tutto.

Per operare a beneficio di tutti gli esseri occorrono gli strumenti delle grandi virtù etiche della generosità, della pazienza, dello sforzo entusiastico, dell’equanimità. La concentrazione si nutre delle qualità di una mente stabile e a sua volta crea le condizioni per una chiara visione.

La concentrazione sul respiro aiuta a creare una mente calma, un’attenzione al “qui e ora”, al respiro come ora si sta sviluppando. L’ansia è uno degli ostacoli che si presentano, ora rivolta al passato come p.es. la nostalgia, ora protesa verso il futuro, tipica dell’uomo che ha dimenticato la propria natura preso dalla fretta del tempo. In ogni caso si è smarrita l’innocenza e la qualità del non nuocere ahimsa.

Nel buddhismo si parla di tre paradisi, quello originario, il paradiso. Quello creato dall’uomo di scienza, l’ “arte fatto”. E il nuovo paradiso dell’innocenza, del non nuocere, dell’ahimsa.

Oggi viviamo in un mondo di interconnessioni telefoniche ma siamo estranei l’uno all’altro, non riusciamo a guardarci dentro. Occorre vedere ciò che abbiamo nel nostro intimo, chiamarlo per nome, riconoscerlo: provo rancore: “ecco il rancore!” Sono un essere umano che semplicemente guarda ciò che accade, conosco e riconosco ciò che c’è. Il dolore è alla porta della nostra vita ma attraverso la vita stessa possiamo trasformarlo.

Shamata è conoscere, riconoscere la natura della propria mente e deporre il soprappiù, è discernere lo spazio tra un pensiero e l’altro. È allenamento, è coltivare attenzione e ascolto di noi stessi per ascoltare gli altri. È un senso di fratellanza. “Rendo omaggio” a ciò che è, e ciò è compassione. Piango appena nato, ho bisogno di aiuto: la mamma me lo dà ed è la prima ad avere compassione di me e mi aiuta. Tutti abbiamo bisogno di aiuto, tutti siamo partecipi di una naturale innocenza.

 

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