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Il Karma e la sua storia: impulsi karmici, deposito karmico, impressioni latenti – di Claudia Chirila n°2

Nella nuova lezione del 5 maggio Rodolfo ci ha presentato nozioni nuove che avevo sentito ma che sento il bisogno di approfondire ulteriormente: crescita interiore, karma, azioni karmiche, samskara, deposito karmico, vāsāna…

Karma… ultimamente questo nome l’ho incontrato quando studiavo i sentieri dello Yoga. Tra i cinque sentieri dello Yoga c’è anche il Karma Yoga – Yoga del servizio.

Avevo imparato che il Karma Yoga è lo Yoga del lavoro, dell’azione libera e gratuita e che ha due aspetti. Il primo consiste in preghiere e rituali per la purificazione di sé stessi e per il beneficio del mondo, il secondo è il servizio per gli esseri viventi.

Tutti gli insegnamenti spirituali parlano del bisogno di aiutare il mondo e dare sollievo all’umanità. Dalla maggior parte delle persone che praticano lo Yoga ci si aspetta qualche lavoro volto al servizio, chiamato in sanscrito seva. Potrebbe consistere nel dare cibo e vestiti ai poveri e bisognosi, lavorare in scuole e ospedali o distribuire libri e insegnamenti. Questo lavoro non si limita all’aiuto dato alle persone, ma anche agli animali, alle piante e al pianeta stesso, includendo in ciò varie forme di attività sociale e politica.

Il Karma Yoga è l’inizio e la fine, il più semplice e il più elevato modo di vivere. Quelli che lo trascurano perdono un volto essenziale dello Yoga.

Ma perché lo Yoga ci insegna questo?  Cosa vuol dire Karma?  Nell’ultima lezione Rodolfo ce lo ha fatto scoprire.

Comunemente, quando si fa riferimento al Karma, è quasi automatico dargli una collocazione tendenzialmente negativa, infatti molto spesso si possono sentire frasi tipo: “Che vuoi farci, è il suo karma” o affermazioni simili. Difficile sentire commenti positivi. Generalmente ci riferiamo al Karma come ad una conseguenza delle nostre azioni, come un peso, e spesso lo posizioniamo in senso negativo, dimenticandoci che per avere una reazione, ci deve essere prima un’azione.

Quindi il Karma non può essere considerato solo come conseguenza, la traccia che ogni azione lascia in noi, ma deve essere visto anche come il fattore che determina le nostre azioni in avvenire.

“Non è un intervento divino, come viene accentuato in certe scuole, ma in primo luogo sono io il responsabile del mio Karma, delle mie azioni, ci dice Rodolfo, se io metto in atto comportamenti non conformi all’etica allora sto creandomi un Karma negativo, quel Karma che pesa sulla mia libera azione, sul Sattva, quello più luminoso. Se compio azioni meritevoli nel senso dell’altruismo, del bene, allora sviluppo sempre un Karma, ma un Karma leggero.

Si parla di azioni legate al Karma:

  • Pulite- immacolate- pure
  • Impure- maculate- non chiare- azioni che ci conducono nel senso del Tamas”

Ciò che affrontiamo in questa vita è una conseguenza delle nostre azioni precedenti. Questo Karma ce lo siamo costruito noi, questo vale sia in bene, con l’ausilio della discriminazione, che in male, a causa dell’ignoranza, di presumere che siamo liberi dalle conseguenze del nostro agire. Non possiamo dare la colpa agli altri o alla malasorte di ciò che ci accade.

Dovremmo comprendere e quindi accettare ciò che ci accade, “vedere ciò che è”, non reagire meccanicamente. Per mettere in atto un comportamento libero da condizionamenti è necessario capire che ciò che ci accade è un maturare del Karma, di uno sviluppo che ci coinvolge. Le situazioni che affrontiamo richiedono azioni che in sé contengono l’essenza delle nostre azioni passate ma anche il seme di quelle future.

L’azione in sé genera un’altra azione. E’ per questo che è importante comprendere la qualità del nostro agire.

“Il Karma” è un termine di forza attiva, il quale indica che gli eventi futuri sono nelle vostre mani. – Il XIV Dalai Lama

“Cosa anima il Karma? Cosa è che lo colora in maculato o in immacolato?

Sono i tre Guna!”

Teniamo presente che questo  Karma “privato”, il “mio”, in realtà assorbe, in modo più o meno intenso, il Karma familiare e sociale, e così via quello delle nazioni, sino a quello dell’intero Universo, e questo sia nel grande che nel piccolo, dagli animali, alle piante, alle cellule e così via. Il Karma condiziona il macro e il micro cosmo. Quindi, per comprendere appieno l’interazione tra i tre Guna occorre riconoscerne l’operare a tutti questi livelli.

“Il Karma è solo la lucina emergente di una profondità che portiamo in noi.

A ben guardare quel Karma che condiziona le nostre abitudini prende forma dall’interazione dei tre Guna. I Guna però sono strettamente commessi agli impulsi karmici, i samskara, che si addensano nel “deposito karmico”, nella nostra coscienza “maculata”, condizionata e “sporca”.

Gli impulsi karmici sono pronti ad emergere facendo dei Guna il loro veicolo. I Guna sono alimentati proprio dai samskara e viceversa.

Il profondo radicamento di questa costellazione di elementi (karma, guna, impulsi karmici, deposito karmico) nell’intimo della nostra coscienza sono la causa del disagio esistenziale.

La pratica dello Yoga non mira quindi a sondare l’effetto di una singola azione. Deve disporsi con un animo aperto ad “accorgersi”, a “riconoscere”, a “far emergere” questo deposito karmico.  Attenzione: non è frutto della “mia” volontà egoica, è qualcosa che “può accedere” in una mente particolarmente pura, in cui le tracce accumulate dal passato sono meno dense e raggrumate. Ma teniamo presente che questa è la prima tappa della nostra ricerca interiore.

La pratica della consapevolezza non si deve fermare, deve aprire la sua attenzione, rendersi così sensibile da cogliere, con una totale umiltà, quelle profondità da cui emerge tutto questo, i Vāsāna, gli “impulsi latenti”. Anche se non riusciamo a decifrarli, in essi non vi è solo la “mia” storia, vi è la storia di tutto ciò che esiste.

Se non intuiamo la potenza e la forza profonda di queste “abitudini” indefinite, indeterminate e senza tempo, permarrà ovunque un velo di insoddisfazione e di sofferenza.

Senza arrivare a queste profondità che indicano un percorso introspettivo senza fine, è già di grande utilità una pratica seria dello Yoga. Qui prende avvio in noi l’anelito ad una indagine responsabile nel nostro intimo. Solo così cominciamo a renderci conto di cosa sta accadendo, altrimenti non facciamo altro che destreggiarci alla meno peggio (più alla peggio), scivolando verso una azione maculata, impura, inconsapevole senza trovare la via, alimentiamo un Karma pesante e ostruttivo” dice Rodolfo

“La nostra pratica yoga si destreggia con abilità tra i poli del Karma, dei Guna e dei Samskara. Tra di essi vi è uno spazio sottile in cui ancora ho la possibilità di agire, di porre in essere quel Karma-Yoga di cui si parlava all’inizio, di un’azione gratuita, senza l’arroganza del “pretendere” ma con l’ “umiltà” di chi osserva, di chi si affaccia ad una profondità insondata.  In quello spazio posso mettere a dimora i semi di azioni immacolate. Così, anziché essere riassorbito da un Karma pervaso da abitudini inconsapevoli, posso con riconoscenza e meraviglia, risvegliarmi al grande mare delle vibrazioni più sottili in cui si allenta il condizionamento karmico. Gli impulsi karmici via via si sgretolano, e lo sguardo si apre al mondo di sempre, ma cogliendo il Sattva in tutti presente. Allora la consapevolezza matura, il Sattva cresce e via via quelli che erano gli elementi contrastanti, il Rajas e il Tamas, anziché risucchiarci nel mondo del torpore mentale, nell’irrequietezza, nella violenza, nell’aggressività risvegliano le qualità positive in essi celate e con naturalezza si mettono al servizio del Sattva. Quando nel primo incontro avevamo fatto l’esempio dell’Allungamento dell’Occidente (la Pinza) vi era una vena di Tamas, nel Cobra una di Rajas, nella postura del Loto il Sattva”. Rodolfo

Quando ci viene in mente di fare qualcosa, c’è uno spazio prima che l’impulso karmico ci spinga ad agire. Non mettiamo in atto immediatamente qualunque sensazione sorga né le seguiamo ciecamente. Quando sorge la sensazione di dire qualcosa che fa male, possiamo scegliere: “La dico o no?”. Potremmo provare un sollievo temporaneo nell’esprimere la nostra irritazione urlando contro qualcuno, ma avere l’abitudine di urlare contro gli altri è uno stato mentale infelice. Quest’abilità di distinguere tra azioni costruttive e distruttive è ciò che caratterizza gli esseri umani, questa è la nostra grande responsabilità.

Quindi lo scopo di un praticante di Yoga è quello di coltivare Sattva. Tutte le pratiche Yoga hanno in sé la potenzialità di alimentare il Sattva nella mente e nel corpo, per aiutarci a condurre uno stile di vita più “sano”.

“La prima pratica è svegliarsi dal peso di Tamas, il peso della non fiducia in sé stessi, la seconda è addomesticare il Rajas dalla sua irrequietezza!”

Rodolfo ci parla della grande virtù della PAZIENZA che sa mettere ordine in questo turbolento mare del deposito karmico! Di questo abbiamo bisogno per proseguire nella nostra pratica.

“PULIRE IL DEPOSITO KARMICO È LO SCOPO DI UNA VITA!”

Namasté!

Claudia Chirila

 

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