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…smriti samskarayor ekarupatvat…IV,9 Yogasutra

Questo breve verso degli Yogasutra mi accompagna nel raccoglimento di questa sera (e non solo). La frase dice: “La memoria (smriti) e impressioni latenti (samskara) sono, formarmente, la stessa cosa”. Le mie azioni attuali sono sorgente delle successive, ma sono anche connesse con il mio passato. Qui opera la memoria in cui si addensano le impressioni latenti, i motivi reconditi del mio agire. A sua volta le azioni che andrò a fare sono il frutto della mia memoria, ricettacolo e sorgente di ulteriori impressioni latenti.

Quindi la connessione tra le mie azioni è condizionata dalla memoria in cui rimbomba l’eco di una passato recente e via via più antico, sino alle profondità più recondite. In questo marasma delle mie impressioni latenti via via la consapevolezza riesce a creare la connessione più idonea a determinare la mia motivazione. Usualmente la motivazione non è libera ma frutto di questo passato, sostenuto dalla mia memoria e frutto delle impressioni latenti, mie dapprima e poi dei miei genitori e ancora dei miei antenati, dei costumi del mio paese e via dicendo.

Nell’accorgermi di questa profondità, e qui la meditazione svolge un ruolo essenziale, percepisco come un’ombra i semi (samskara) che interagiscono innaffiati dallo scorre del tempo.

Gli impulsi latenti sono pr0prio una memoria sotterranea in cui non solo io, ma tu, ognuno di noi , oggi e nei tempi passati, ha semitato una traccia di egoismo/altruismo, egoico/compassione. Non li conosco eppure mi chiedo: sento dentro di me il peso di queste abitudini? Le vedo nel comportamento altrui? e nel mio?

La meditazione mi serve a calmare la mente agitata, per farmi vivere meglio. Ma la meditazione è anche e soprattutto – nella mia esperienza – la via per contemplare questo mare sotterraneo senza parole, pervaso di pura enegia addensata da tempo senza inizio. In modo più comprensibile ne vedo un esempio nella potenza di un vulcano. Il calore vitale si addensa e di sviluppa, secondo modi più o meno imprevedibili, nella profondità della terra ed è  pronto ad erompere … nel mio comportamento.

E’ così immediata la mia reattività tra una azione e l’altra che non presto affatto attenzione a questo vulcano sotterraneo in cui si addensano, piaceri e dolori fusi, come dicevo, nell’amalgama del mio intimo, non solo, in quello del luogo in cui vivo, del nostro Stato, ieri e oggi, in ogni dove.

Le parole non si sono ancora definite, sarà poi l’immenso coacervo delle culture a devinirle, anche a distinguerle e ancora a renderle l’un l’altra conflittuali.

Il filo conduttore di questa mia riflessione prende avvio dall’esperienzza del raccoglimento meditativo. Ora sfuma l’esigenza della meditazione atta a calmare la mente e i pensieri. Un primo aiuto viene dal respiro. Sento che va e viene. Senza un soggetto che debba agire. E’ il corpo a guidarlo. Ed il corpo ha una memoria molto più profonda della mente, ha una memoria ancestrale. Sento che c’è, senza avere la presunzione di conoscerne modalità e fasi…

Ma oltre l’intimità con il respiro vi è quella con il pulsare del cuore, o meglio, è la circolazione del sangue, della linfa, dell’ “acquaticità” dentro di me.

Il  cuore governa lo scorrere del sangue e scorre finchè non giunge la morte. Questo scorrere del sangue nella mia vita non è altro che il risuonare del ritmo eterno dell’esistenza. Nel mio raccoglimento sento che sono al cospetto di quel vulcano eterno che è la vita.

Imprudentemente, pur con intimo affetto, cerco di dare parola a questa esperienza. E’ l’assorbimento meditativo, la contemplazione a guidare questa riflessione.

Tra una azione e l’altra vi è cioè la contemplazione di quel vulcano interiore e vi è l’abbandono alla sua forza e ai suoi silenzi. Purtroppo non posso ‘monovrarlo’, è molto più grande e inesprimibile di me, non avrei nè mezzi  nè parole. E’ il silenzio della preghiera. L’unica parola cui mi affido è quella che nel Vangelo spinge Gesù a dire…non la mia volontà sia fatta ma la tua. O il silenzio pervaso di fiducia con cui il monaco buddhista si affida alla saggezza perenne dell’ “acqua che scorre”, al Dharma.

Qui è evidente che mi affido alla Parola del Padre, nella contemplazione buddhista mi affido alla saggezza celata nell’esistenza che da dinosaro mi ha fatto diventare uomo, che da un embrione mi ha fatto diventare uomo. Allo scorrere del tempo cioè, che in ogni suo attimo ne nasconde il segreto.

Questo è un percorso di raccogliemto che parte dall’individuare la libertà celata tra pensiero e pensiero, tra giudizio e giudizio, tra attimo ed attimo. Laddove si addensavano le minacciose onde degli egoismi si comincia a diffondere la fiducia. Con la preghiera del cuore e con la contemplazione meditativa può darsi che le acque cambino sembianza, da rigurgiti rabbiosi all’ampio, lento e potente scorrere del fiume della vita.

 

 

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