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Icona X, Ritornare nel villaggio con le mani ormai aperte

Nel loro susseguirsi i Dieci Quadri della Cattura del Bue sono un percorso con cui confrontarsi con la propria crescita spirituale. Quest’opera, pertinente alla tradizione Ch’an Zen cinese, è nata nel XI sec.  – la prima pubblicazione è di Ching Chu – ha avuto un grande successo tant’è che ne troviamo, tra l’XI e il XII sec., diverse rivisitazioni ad opera di importanti artisti e poeti . Le icone riportate sono frutto dell’artista Kuo-an Shih-yuan (XII sec.) anche se poi, smarritesi nel tempo gli originali, sono state riprese dal pittore giapponese Shubun nel XV sec. e dal suo allievo Sesshu. Ogni Icona è accompagnata da una poesia e da un commento in prosa per renderne più esplicito il significato. A queste facciamo riferimento.

Nel riproporvi queste Dieci Icone ci permettiamo di farle diventare dapprima un gioco di attenzione. Dato che rappresentano la via verso la Cattura del Bue, l’addomesticamento della mente,  in ogni Icona, presa a caso, vi si può trovare il quadro di un momento. ”Caduti” in questo qui&ora dell’Icona X, chiediamo guardandola: “Dove siamo?” e prima di leggerlo nella poesia e nel commento dei Maestri o nelle diverse spiegazione che ne danno gli studiosi, vediamo che cosa ora i nostri “occhi” sanno scorgervi. Vi invitiamo ad inviarci la vostra lettura di questi Quadri!
Questa è in realtà l’ultima di queste dieci Icone, per le precedenti si vada su “Cerca” cliccando “Icone”

 

In questa Icona n. X noto dapprima un particolare che mi ha accompagnato per tutta la ricerca e che ora attrae la mia attenzione. In precedenza mi soffermavo sull’immagine principale, ora invece noto che vi sono assieme tre elementi. Il quadrato che rappresenta i confini del mondo, della nostra storia. Poi, ad esso inscritto, vi è un cerchio che mette a fuoco il ‘confine’ nel cui ambito si svolge la scena. Infine vi è la storia condensata in una immagine che mi parla di un evento. Il paesaggio, come mi era già capitato, non ha uno sfondo definito, solo alcune linee appena accennate che distinguono il cielo da terre lontane e indefinite che costituiscono lo sfondo. Tutto si svolge in un primo piano. Vi è la natura con un albero che volge le sue fronde quasi a contenere la scena o comunque a definirla e a richiamare l’attenzione. Le due figure al centro sono ben definite, ma in primo piano trovo delle montagne.  Non è un prato, sembrano cime imponenti che si susseguono una all’altra. Tra una sfondo indefinito e montagne imponenti in primo piano, vi sono due figure assai differenti in cui una riflette l’altra, pur con dimensione completamente differenti. Da un lato tutto è piccolo, dall’altro tutto è grande. Entrambi portano, appoggiato alle spalle un legno che cui è legata una bisaccia. Una figura è piccola, del tutto coperto, dal volto appena accennato da cui non traspaiono emozioni nè sentimenti. L’altra figura rappresenta un uomo molto alto, sembra quasi che l’albero lo contenga, dalle sue radici alle sue fronde. Il suo legno, più alto e grosso di quello del compagno, porta una sacco alto quasi come la sua persona. L’uno è completamente vestito, l’altro all’usanza dei monaci, ha una mantello che gli copre le braccia. Ciò che lo contraddistingue è il capo che quasi esce dalle spalle, senza un collo che lo sostenga. Nonostante queste differenze ciò che più mi colpisce è il suo viso aperto, sorridente e accogliente. L’immagine del personaggio più piccolo non sembra neanche quella di un ricercatore spirituale, è quella di un uomo che passa appesantito dalle suo poche cose, segno di povertà sia materiale che spirituale. L’altro via via che l’osservo appare come un Bodhisattva, imponente nelle sembianze, il sorriso di diffonde al di là delle labbra, avvolge tutto il gran volto per giungere agli occhi che esprimono felicità e gioia. In mano sorregge un cestino profondo, che cosa mai conterrà? Contiene forse l’elemosina o chissà se contiene qualche dono da offrire. Comunque sia il gesto fa trasparire un nesso che va oltre il dare-ricevere, in quel cestino c’è forse contenuto il segreto di tutti e dieci i quadri della “Cattura del Bue”. Forse quel cesto è vuoto e rimane sempre vuoto qualunque cosa vi si metta, è il vuoto che nessun contenuto può colmare, quello in cui i tanti pensieri del peregrinare sulla terra si disciolgono. E’ un cesto che solo all’apparenza è definito nella sua forma ma, come il sacco che porta in spalla, è senza fondo, tutto vi si può mettere e tutto si può prendere. Sono la rappresentazione palpabile di quel vuoto  che l’Icona VIII ci mostra nella sua radicale ricchezza.
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   Dicono i Maestri

   SHUBUN e SESSHU (XV sec.)

   ICONA X     Ritornare al villaggio con le mani ormai aperte

con i Testi originali

 

 

 

 

 

 

    Col torace scoperto e i piedi nudi si reca al mercato.
    Sudato, coperto di fango e cenere, un largo sorriso sulle guance.
    Senza impiegare le vere ricette segrete dei divini immortali,
direttamente fa in modo che gli alberi secchi si coprano di fiori.

 

La porta di legno è chiusa su di lui in solitudine, mille saggi non potrebbero riconoscerlo. Egli nasconde lo splendore della sua natura. Volta le spalle davanti agli insegnamenti dei saggi. Portando una zucca entra nella piazza del mercato, reggendo il bastone ritorna a casa. Cammina tra le osterie e i venditori di pesce, trasforma tutti quelli che incontra e li fa arrivare alla stato di Buddha.

 

 

Un omaggio va a Migi Autore che ha lavorato assiduamente a diffondere quest'opera

 

 

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