Poesia di Bill Dodd su La Pagoda
Vesak alla Pagoda
ciascuno di noi porta
un sé da deporre
davanti al piccolo altare
meno d’un santuario
un ripiano bianco con fiori
una statuina un vaso o due
un simbolo
in cambio ci offre
spazi di silenzio
alcuni colori semplici
una specie di vuoto
che ci libera dal desiderio
ma accende il calore
possiamo parlare qui
di poco o di tutto
come se ci conoscessimo
da tanti anni
sapendo che il richiamo
d’una ciotolina d’ottone
ci riporterà di nuovo
a un corridoio della mente
attraverso il quale
se impariamo a camminare
arriveremo a un giardino
non l’Eden, uno meno crudele
dove il suono delle nostre voci
lascia il posto a quello
degli uccelli e insetti,
ma soprattutto delle piante
ascolta:
il discorso delle radici
partorisce ramoscelli e fiori
un’ascesa così lenta
di nervi verso la luce
che dobbiamo fare
un passo indietro nel tempo
per sentirla
il colore che canta silente
verso occhi chiusi
i nostri sensi vanno per la loro strada
nessun sé che conosciamo li possiede
non siamo che rugiada
sulle loro foglie
udita
percepita
trattenuta
ricordata
dimenticata