Trimle lug – sett 1999 n° 3 Anno I
Anno I n°3 (luglio-agosto-settembre)
L’esperienza della Pagoda di Pieve a Socana – Arezzo
a cura del gruppo di meditazione della Pagoda
La consapevolezza.
Evam me suttam – I discorsi del Buddha
La consapevolezza e il karma
La Pagoda informa
Lettera a La Pagoda
La consapevolezza
Pensiamo proprio che non ci possa essere qualcosa di più necessario e allo stesso tempo di più equivoco, nulla che più ci possa aiutare oppure confondere, fonte di amore o strumento di sofferenza del tema al quale ci stiamo accingendo nei nostri incontri di meditazione: La consapevolezza. Il perché di un dono così contraddittorio travalica la capacità di comprensione e apre l’intelligenza, intesa come capacità di “sentire” e di “vedere”, a ciò di cui lei non è fonte ma solo espressione. Qui si può individuare un primo elemento. E’ innegabile che ci sentiamo il “soggetto” che “si sente” consapevole, che “conosce” il senso del proprio operare; ma allo stesso tempo la consapevolezza viene prima di noi, è prima di “me”, è un’energia di cui possiamo avvalerci, ma di cui non siamo i padroni, è un’energia che ci inabita e che possiamo solo esprimere ma non produrre. Stiamo parlando di qualcosa che ci appartiene, ma che al contempo ci travalica. Perciò è nostra ma anche più grande di noi. Purtroppo, pur appartenendoci, è uno strumento sconosciuto di cui ci avvaliamo alla meno peggio, con le conseguenze più varie. La consapevolezza è l’attenzione con cui ci rivolgiamo a noi stessi e agli altri per metterne a fuoco la vera natura, l’unica reale essenza che costituisce il fondamento di ogni cosa. Se rivolgendo questo sguardo premuroso a noi stessi o agli altri generiamo un conflitto, non è più ciò di cui stiamo parlando. Se il guardare noi stessi o gli altri ci fa vedere due mondi conflittuali, se lo stare con noi stessi è qualcosa che ci riempie e lo stare con gli altri ci impoverisce e ci allontana dal fuoco caldo e vitale della coscienza, allora questo sguardo non vuole “vedere tutto” ma vuole vedere solo qualcosa, che è poi ciò che piace, ciò che non fa male, ciò che gratifica, ciò cui si potrebbe benissimo dare il nome di pregiudizio. Vogliamo vedere solo quello che ci fa bene, mentre vorremmo cancellare ciò che ci mette in crisi, ciò che ci sfida. Allora la consapevolezza che “cerchiamo” (ma come possiamo cercare qualcosa di cui siamo espressione?!) non può indurci a dividere il mondo tra amici e nemici, a dividerci dentro noi stessi tra ciò che è “buono” e ciò che è “cattivo”. Bisogna allora convivere con quello che odiamo? Sembra assurdo. Ma che cosa è che odiamo, cos’è che ci fa male, possiede “qualcosa” che può nuocerci, od è ciò cui “attribuiamo”, per nostra ignoranza, un significato che non gli è proprio, gli attribuiamo, per nostra debolezza, un potere che di fatto non ha? Chiediamoci dunque se quello che cerchiamo, la consapevolezza che amiamo, sia qualcosa capace di dividere, oppure non può che unire; e se così non è, è solo per la nostra attuale incapacità a “vederne” la vera natura e scambiare per consapevolezza, un nuovo pregiudizio, magari più sottile e subdolo di altri che abbiamo ormai “da molto” superati. Se questa energia ci unisce a tutto e a tutti, non sessualmente, non intellettualmente, ma nella totalità della nostra persona è sinonimo di amore. Se questa energia divide, allora è purtroppo la solita vecchia cosa che sempre facciamo, dividere, scegliere, giudicare, scandalizzarsi, condannare, violentare, uccidere. E’ la fonte di ogni guerra. Conoscenza vecchia come il mondo. La strada delle vecchie abitudini, percorsa e ripercorsa. Non c’è novità, non c’è mistero, né scoperta. La consapevolezza, soprattutto nella pratica meditativa, nasce per aiutarsi e aiutare, ma può danneggiare eccome. In nome della pratica meditativa che ci sospinge, come benefica corrente, verso il vasto oceano della coscienza, guardo con sufficienza coloro che non meditano, che si appassionano per una partita di calcio o per un programma televisivo o che si animano in una discussione politica. Allora dividiamo: lo stesso strumento che ci aiuta, ci lega nel modo più volgare. Diventiamo ancora più volgari di quel tifoso che lancia improperi alla moglie che vorrebbe discorrere, nel momento forte della partita. Ma che dire del tuo compagno che mentre mediti ti richiama alle sue esigenze, o del figlio che magari vuole installare un nuovo programma sul computer? Peggio di quel goloso che si tiene il barattolo di nutella nascosto nel comodino, tutto per sé, pronto ad odiare chiunque osi rompere questa “intimità”. La pratica della consapevolezza durante la meditazione può divenire la “nuova nutella”, il bocconcino prelibato e “fine”, “tutto per noi”, pronti a guardare con ira chi interferisce. Un’altra strada presa per amore, che diviene fonte di divisione, vicolo cieco, pozzo sempre più oscuro. Dall’altro questa stessa meditazione può rendermi più recettivo, più capace di accettare me stesso e quindi anche gli altri, i turbinii della mia mente come le “pretese” delle altre menti. Ma questo vuol dire dover fare sempre ciò che dicono “gli altri”? La pratica della consapevolezza “è” questo impossibile equilibrio tra golosità egoistica più esasperata e l’altruismo più disinteressato. Vuol dire essere appieno con se stessi, essere appieno con gli altri, essere appieno con la verità-realtà, con il Dharma. Vuol dire non tradire la mia ricerca, non tradire la natura propria dell’altro, non tradire la nostra condizione umana. Quanto è semplice, facile ed entusiasmante diventare dei “nuovi censori”, sorridere agli altri non per aprirsi a loro, ma per sottolineare la nostra superiorità sui loro confronti. Quanto è facile condannare sia gli altri, sia ciò che rifiutiamo di noi. Com’è spontaneo diventare arroganti, presuntuosi. Com’è assurdo all’opposto voler imitare gli altri, cercare modelli da far propri, temere di dire di no. Tutto può essere fonte di errore, tutto può essere fraintendimento che imprigiona, anziché liberare. Ecco l’assurdo della pratica di consapevolezza. Se seguirla è aprirsi agli opposti, come faccio ad amarli senza perdermi? Forse è proprio qui che la consapevolezza che ci fa comprendere tutto, si trasforma nella consapevolezza in cui anche noi siamo compresi. Anziché soffiare sull’acqua con la consapevolezza, accorgersi che è così, solo perché è “lei stessa” che con il suo alito leggero soffia su di noi, generando, nell’oscurità della coscienza, l’anelito ad imitarLa, a fare come Lei. Ma quando ci cimentiamo ad imitarla, ci allontaniamo dalla sua freschezza! Come diviene incerto il senso del nostro agire! La consapevolezza è necessaria solo perché ci insegna, guardando altrove, a vedere davvero. Questo sguardo vivo è qualcosa che non ha nulla a che fare con l’atteggiamento interiorizzato o esteriorizzato, con l’essere consapevoli di se stessi o l’essere consapevoli degli altri. E’ qualcosa di “completamente diverso”, ma non di estraneo a tutto quello che facciamo. Ogni giudizio ha il suo sapore, ma che meschina parodia è tutto ciò se manca lo sguardo che è all’origine di tutto, se il nostro essere non si apre a qualcosa di più profondo, che è ovunque, e sempre, qui accanto a noi, accanto ad ogni cosa, la cui luce, non ha niente a che fare con quella del sole, che lascia il posto alla notte, ma che è luce senza oscurità, che è intelligenza senza ignoranza, che è altruismo senza menzogna, che è amore senza odio. Che questa luce possa bruciare il nostro egoismo, che questa luce possa veramente aprirci al mistero dell’unione illuminando ogni essere.
Evam me sutam (così io ho udito) I DISCORSI DEL BUDDHA
Tratto dal Canone Buddhista Pali – MAJJHIMA-NIKAYA -
Un servitore di Sudatta venne a dire a Sariputta che la malattia del padrone si era aggravata. Sariputta chiese ad Ananda di unirsi a lui, e insieme entrarono in città. Sudatta giaceva a letto. Un servitore vi accostò due sedili per i bhikkhu. Vedendo che Sudatta soffriva di tremendi dolori fisici, il venerabile Sariputta gli consigliò di praticare la contemplazione del Buddha, del Dharma e del Sangha per dare sollievo alla sofferenza. “Discepolo laico Sudatta, contempliamo assieme il Buddha, l’Illuminato; il Dharma, la Via della Comprensione e dell’Amore; il Sangha, la Nobile Comunità che vive in armonia e consapevolezza”. Sapendo che non gli restava molto da vivere, Sariputta gli disse: “Discepolo laico Sudatta, contempliamocosì: gli occhi non sono me, le orecchie non sono me, il naso, la lingua, il corpo e la mente non sono me”. Sudatta seguì le istruzioni. Sariputta continuò: “Ora contempliamo così: ciò che vedo non è me, ciò che odo non è me, ciò che odoro, gusto, tocco e penso non sono me”. “L’elemento terra non è me”, continuò Sariputta. “Gli elementi acqua, fuoco, aria, spazio e coscienza non sono me. Io non sono limitato o confinato negli elementi. Nascita e morte non mi toccano. Sorrido, perché non sono mai nato e mai morirò. La nascita non mi ha dato l’esistenza, la morte non me ne priva”. Improvvisamente Sudatta prese a singhiozzare. Turbato dalle lacrime che rigavano le guance del discepolo laico, Ananda chiese: “Sei forse rattristato, Sudatta, perché non riesci a seguire la contemplazione?”. “Venerabile Ananda” rispose Sudatta, “non sono affatto rattristato. Riesco a seguire la contemplazione con grande facilità. Piango per la commozione. Per più di trent’anni ho avuto l’onore di servire il Buddha e i bhikkhu, eppure mai ho udito un’insegnamento profondo e sublime come questo”. “Sudatta” disse Ananda, “il signore Buddha dà spesso questo insegnamento ai bhikkhu e alla bhikkhuni”. “Venerabile Ananda, anche noi siamo in grado di comprenderlo e praticarlo. Ti prego, supplica il signore Buddha di trasmetterlo ai laici”. Sudatta morì quello stesso giorno. I venerabili Sariputta e Ananda rimasero accanto al suo corpo recitando i sutra.
LA CONSAPEVOLEZZA E IL KARMA
Crediamo veramente che sia possibile purificare tutti i frutti karmici che abbiamo accumulato fino a questo momento? Pensiamo che l’illuminazione arrivi quando tutto il nostro karma sia esaurito? Il ciclo di nascita-morte-rinascita è senza inizio, le azioni positive e negative si sono susseguite innumerevoli volte, gettando altrettanti innumerevoli semi karmici……è veramente impossibile purificarci completamente del nostro passato!? Allora cos’è che possiamo realmente fare? Certamente è giustissimo smettere di comportarci negativamente, evitando così di creare altro karma nocivo, ma altrettanto importante è affrontare nel presente il nostro karma accumulato. Se ai risultati karmici negativi reagiamo con avversione, con odio e a quelli piacevoli con attaccamento, non facciamo altro che “seminare nuovo karma”. Per interrompere questo processo (che possiamo anche chiamare “ricondizionamento”), abbiamo però a disposizione uno strumento efficentissimo: LA CONSAPEVOLEZZA. La consapevolezza non è quel semplice riconoscimento che possiamo avere nei confronti di stati mentali, pensieri, sensazioni e altro; la Consapevolezza è quell’energia capace di vedere le cose presenti senza identificarsi con esse. Praticare la consapevolezza è praticare con il nostro karma; molte cose che osserviamo nel presente sono il risultato di nostre azioni passate. Il problema non è la qualità dell’esperienza presente, che può essere piacevole o spiacevole oppure indifferente, ma il grado di consapevolezza che abbiamo sviluppato: riusciamo a stare con i nostri pensieri, le nostre emozioni, gli stati mentali, le varie situazioni personali e interpersonali, con la consapevolezza di quello che ci accade, senza avversione, senza attaccamento, senza identificazione? La libertà, la liberazione, dipende dalla consapevolezza, dalla nostra equanimità, dalla saggezza che è presente. L’illuminazione non deriva dalla purificazione del karma passato ma dalla recisione dell’ignoranza che abita nella nostra mente.
La Pagoda Informa
Sabato 12 giugno 1999 presso la Pagodasi di Pieve a Socana si è tenuta l’assemblea dei soci. I temi trattati sono stati: L’invito formale al monaco dello Sri Lanka proposto da Tae Hye. La proposta di abbonarsi alle riviste “Dharma” e “Buone Notizie”. La proposta di far diventare Soci Onorari tutti i monaci e maestri che vengono ad insegnare alla Pagoda previa approvazione da parte del consiglio direttivo. L’invito a tutti gli interessati di scrivere articoli e riflessioni per il trimestrale dell’associazione. La proposta di una pratica in comune all’interno dell’associazione: La consapevolezza nel quotidiano. Per quanto riguarda l’invito al monaco dello Sri Lanka, abbiamo deciso di rimandarlo fino al ritorno del venerabile Tae Hye che è previsto per il mese di settembre. Abbiamo poi approvato la proposta di abbonarsi a “Buone Notizie” e alla rivista buddhista per la pratica e per il dialogo “Dharma”. Tutti d’accordo per le proposte di far diventare Soci Onorari i Monaci e Maestri che saranno invitati ad insegnare alla Pagoda (quindi abbiamo come nuovo socio onorario il venerabile Abhinando, monaco della tradizione Theravada) e quella di avere come pratica in comune la “consapevolezza nel quotidiano”. Vi ricordiamo inoltre che all’interno della Pagoda esistono delle regole e dei comportamenti da adottare per il rispetto del Tempio e per facilitare la convivenza con tutti gli altri frequentatori: Gli otto precetti: non violenza, onestà, castità, retta parola, sobrietà, rinuncia, raccoglimento; un comportamento decoroso, sia nella parola che nel corpo; contribuire ( secondo le proprie possibilità) con una offerta alle spese del Tempio; partecipare diligentemente alla raccolta differenziata dei rifiuti; prestare attenzione al risparmio delle varie risorse (acqua, metano, corrente elettrica, legna, ecc.) Per avere delle informazioni più dettagliate potete leggere le “informazioni per gli ospiti” situate nel tavolino all’interno della Pagoda.
Lettera alla Pagoda
Alcune volte mi chiedo perché pratico e perché pratico in gruppo. La risposta è che credo che si possa realizzare un sogno. Il semplice sogno di divenire giorno per giorno un uomo migliore. Il semplice sogno di vivere in pace con me stesso e gli altri. Il semplice sogno di non essere continuamente trascinato via dalle mie rabbie, dalle mie paure e dalle mie frenesie. Fortunatamente questo sogno non è esclusivamente mio, ma è un sogno comune a molti altri uomini ed è una grossa opportunità poterlo condividere assieme. E’ bello ritrovarsi per coltivarlo, confrontarlo e definirlo in ogni suo dettaglio e possibile sfumatura. E’ bello non sentirsi solo nei momenti di dubbio, sapendo che da qualche parte c’è qualcuno che ci sta provando come te. E’ bello restare tutti assieme in un sereno silenzio senza avere la necessità di fare o aggiungere nulla. Per tutti questi motivi io pratico e pratico in gruppo. La Pagoda rappresenta per me un bel sogno comune. L’onesto tentativo degli uomini di cercare di andare oltre le apparenze, oltre i loro confusi e restrittivi pensieri, oltre il loro stesso egocentrismo per assaporare il gusto della moralità, della quiete mentale e della saggezza. Sono molto grato di poter fare parte di questa comunità in cui confluiscono i pregi e i limiti di ognuno, ed ognuno è chiamato a condividere la diversità dell’altro, uniti solo dallo stesso entusiastico e sincero fervore verso un sogno che passo dopo passo si concretizza. Non mi interessa fare considerazioni e valutazioni su quale e quanta parte del mio sogno possa essere realizzata, perché mi è più che sufficiente sentire che il sogno fa intimamente parte della mia e della vostra vita ed è la nostra stessa vita. Ringrazio di cuore la Pagoda e i suoi membri per il continuo stimolo che mi offrono e l’impegno che mi promuovono ricordandomi che ciò che io chiamo sogno può essere realizzato e soprattutto si deve provare a realizzarlo, affinchè la nostra esistenza acquisti un senso e una dignita umana.